Allevare una tarantola

Allevare una tarantola è diventato un fenomeno per certi versi di moda alcuni decenni fa, probabilmente sull’onda di un grande successo cinematografico che il ragno aveva conquistato sulle scene dei film horror.

Anche se molti di essi erano sicuramente prodotti artistici di bassa o bassissima qualità, ciò ha contribuito a far si che la tarantola entrasse, a pieno diritto dentro le case di molti appassionati di allevamento di animali, sebbene per alcuni ciò possa sembrare profondamente repellente.

Naturalmente non si parla dell’allevamento del piccolo aracnide comune in Salento e nelle altre regioni dell’Italia Meridionale e delle coste del Mediterraneo, troppo piccolo, e forse anche un pochino “sfuggente” per diventare il preferito dei novelli allevatori.

Piuttosto a finire in terrari, gabbiette e teche in vetro sono stati gli esemplari di “tarantola” provenienti dai paesi asiatici e soprattutto dal continente sudamericano, dove il ragno raggiunge proporzioni anche notevoli: scientificamente, più che di tarantole, si tratta di una famiglia parallela, quella delle migali.

Se da un lato tale passione può avere, a ben guardare, anche dei risvolti positivi, primo tra tutti la possibilità di arginare tante delle legende intorno a questi animali, per la maggior parte innocui per l’uomo al pari di vespe, api e calabroni, dall’altra ha provocato un effetto negativo perchè, oltre ai ragni allevati allo scopo, e quindi “ammaestrati” a vivere in cattività, la forte domanda ha provocato la razzia di esemplari di ragno catturati in natura strappandoli al loro ambiente naturale per farli finire in gabbia, cosa che, per la maggior parte di essi, coincide con una lunga e terribile agonia.

Una collana di Torri a difesa del passato

Il Salento non è solo terra di sole e di mare, ma è anche una terra di storia, di lotte intestine, di invasioni e colonizzazioni, di un passato che si dipana fra le pagine delle scogliere, tra le torri che ancora si ergono salde, a dispetto del tempo e della salsedine.

Torri che ricordano il tempo di Carlo V d’Asburgo, immerse nel liquido amniotico del XVII secolo, costruite come punti di avvistamento e difesa contro coloro che si avvicinavano alla costa via mare. Molti di queste torri, come nella località Torre Vado a Morciano di Leuca, ricordano quel periodo di storia che ancora è viva e accoglie i visitatori di oggi. Così, tra masserie, insenature e vecchie case ci si perde tra i profumi della salsedine e dei fichi, il fruscio del vento tra le foglie degli ulivi secolari, i richiami dei contadini e la risposta dei cani.

Chi vuole può seguire la via costiera e toccare tutte le torri. Partendo da Torre Vado si può proseguire per Torre Pali, Torre Mozza, Torre San Giovanni, Torre Suda, Torre Pizzo fino a raggiungere Gallipoli, la piccola perla del profondo Sud.

Perché, però, non spostarsi dal lato opposto e risalire la costa verso Santa Maria di Leuca, toccare le varie Marine fino alle Grotte (Grotta Rotundella, Grotta Zinzulusa, Grotta Romanelli, Grotta Cervi) e cogliere l’occasione di penetrare nel cuore e nelle visceri di questa terra calda e viva conosciuta topograficamente con il nome di Salento. L’ideale sarebbe trascorrere qui un periodo delle proprie vacanze, prendere una stanza in affitto in uno dei tanti hotel di Santa Maria di Leuca vista mare e visitare i luoghi partendo senza una meta precisa, lasciandosi guidare solo dal proprio cuore e dai profumi.

Qualcuno dice che il Salento è Africa. Forse è vero. Perché proprio come l’Africa ti penetra dentro e te lo porti dietro per sempre. Come il mal d’Africa, vi è anche un mal di Salento che ti brucia dentro quando sei lontano. Se sei nato qui o ci sei solo passato in vacanza, non importa. Ti contagia. Ma che importa? In fondo è un bel contagio.

Edoardo Winspeare ci racconta il Salento in immagini

Edoardo Winspeare è attore e registra italiano. Nato a Klagenfurt il 14 settembre del 1965 da padre napoletano e da madre austriaca, cresce in un paesino del profondo salento, a Depressa, una frazione di Tricase. Studia Lettere presso l’Università di Firenze e dopo la laurea si trasferisce a New York per seguire in corso di fotografia.

Affascinato dalle arti visive, decide di andare a Monaco di Baviera per studiare storia e teoria cinematografica presso la Hochschule für Fernsehen und Film dove si diploma. In seguito lavora in alcuni cortometraggi come assistente alla regia, operatore alla macchina, montatore e tecnico del suono. Questa esperienza sarà poi fondamentale per la sua carriera futura quando, fedele alle sue radici e ad un cuore salentino che batte nel suo petto, si dedica alla realizzazione di documentari e cortometraggi sulle tradizioni salentine per poi approdare al grande cinema con la produzione e la regia di film come Pizzicata (1995), Sangue Vivo (2000) e Il Miracolo (2003). I suoi film ricevono menzioni importanti non solo in Italia ma in tutta Europa.

La figura di Edoardo è davvero emblematica per la storia della musica e delle tradizioni di questa terra spaccata dal sole. Sebbene i suoi natali non siano pugliesi, ha sentito forte l’attrazione di questa terra di Puglia ed egli ha assimilato tutto, musica e tradizioni, entrando in un connubio creativo e produttivo che lo ha portato alla produzione di lungometraggi sulla storia delle tradizioni salentine. Il più indebitandosi e facendo grosse fatiche per cercare di recuperare un po’ di investimenti, ma sempre con il cuore gonfio per una terra che ha sempre sentito sua.

Edoardo non si è solo dedicato al cinema sul Salento ma ha anche creato un gruppo musicale, gli Zoe, capitanato da Pino Zimba e composto da Lamberto Robo (tamburello), Donatello Pisanello (organetto), Ambrogio De Nicola e Claudio Miggiano (chitarra), Cinzia Marzo e Raffaella Aprile (vocalisti).

Torre Vado: una torre a guardia del mare salentino

Il Salento è molto di più di una terra circondata dal mare. È una terra fatta di tradizioni e di storia antica. Il passato qui diventa presente e si mischia in un divenire che si proietta direttamente nel futuro senza freni o inibizioni.

La costa della Puglia è sicuramente una delle più rinomate che non ha nulla a che invidiare alle coste della Sardegna o dei mari oltreoceano. Qui sembra che il tempo si sia fermato, che il progresso non abbia toccato nulla. Le acque si aprono libere ai sommozzatori e alle visite sott’acqua, si lasciano solcare dalle barche senza arrossire mentre il sole forte illumina il cielo di un blu profondo.

Il modo migliore per visitare il Salento è quello di affittare un appartamento o una casa vacanza e girare liberi alla ricerca e alla scoperta delle sue meraviglie. Diviso tra Mare Ionico e Mare Adriatico, il Salento offre luoghi e profumi da non dimenticare. Come Torre Vado, un piccola località di mare che si affaccia sul versante Ionico ad appena 6 km da Santa Maria di Leuca, sul bordo del tacco che segna il fine dell’Italia.

Torre Vado prende il suo nome dalla presenza di un’antica torre, una delle tanti torri erette a guardia del mare. Vado deriva dal latino vadum che significa guado, luogo dove l’acqua permette l’attraversamento senza la costruzione di ponti o traghetti. Qui nel 1500 gli spagnoli eressero una grande Torre saracena che oggi rimane a controllare e vegliare sulle acque limpide di un mare semplicemente italiano.

Da qui si può facilmente raggiungere le grotte di Leuca, passeggiare tra le antiche masserie fortificate, ammirare i castelli, le zone archeologiche, le chiese e tutti gli stralci di storia e architettura che questa terra protegge con amore. A coronare il passato vi è un presente di vive attività turistiche, di infiniti chilometri di spiagge bianche dalla sabbia finissima che si lascia lambire da un mare limpido e incontaminato, luogo ideale per coloro che vogliano vivere la natura e gli sport acquatici. La costa bassa del suo guado, inoltre lo rende il luogo ideale per le vacanze delle famiglie. Il suo degradare dolcemente verso il mare, i suoi scogli bassi, lo rendono un luogo facilmente accessibile sia a coloro che non sono bravissimi a nuotare, sia alle famiglie con bimbi piccoli che non corrono il rischio delle acque profonde. L’unico pericolo di questi luoghi è affondare nel blu di questo cielo terso e profondo.

Salento: lu sule, lu mare, lu ientu

La terra salentina si estende lungo la parte finale del tacco del nostro italianissimo stivale. Si estende in lungo nel mare, di cui è circondato e nel quale affonda, spaccata in due dal sole che la rende una delle terre più ricche e belle d’Italia.

Il suo mare cristallino, i suoi 250 km di coste infrastagliate di spiagge e scogli, è entrato nel cuore di molti che, una volta giunti in questa terra, accolti dal calore e dalla socievolezza della sua gente, non possono non tornate, come attratti da un mal d’Africa.

Posta alla fine dell’Italia, il Salento non è un luogo di passaggio per gente che va e viene lungo il percorso dello stivale. Nel Salento non ci capiti per sbaglio, ci devi andare per forza. Grazie probabilmente a questa sua naturale disposizione geografica, il Salento è riuscito a conservare viva la propria storia e la propria cultura, quasi congelata nel tempo, come se il progresso non fosse mai arrivato. L’essere stata meta anelata e terra di conquista da parte di Greci, Bizantini, Romani e Messapi lo si può vedere ancora oggi nella sua architettura, nella sua cultura, nelle tradizioni e nei toponimi. E non a caso che si parla di Grecia Salentina.

Una terra di cultura, abbiamo detto, stesa sul Tavoliere delle Puglie con i suoi uliveti secolari, le vigne, le distese di tabacco, i campi di grano. Qui non ci sono colline e il tuo sguardo si perde al di là dell’orizzonte. Il sole a volte ti acceca, riflesso dalle acque del mare o dal bianco delle sue case abitate da gente che mantiene viva ancora la propria lingua, spesso infarcita di termini spagnoli, greci o arcaici, traccia di passaggi storici di popoli che hanno lasciato il segno.

Il mare, il sole e il vento, lancia un refrain sul Salento. Ma accanto a questi giusto ricordare che il Salento è terra florida per la fauna e la flora con le sue zone protette e i suoi panorami spettacoli. Una terra che ha imparato a farsi amare anche per la sua cucina, puramente mediterranea, che annovera piatti rinomati nel mondo e che delizia non soltanto con gli occhi ma anche con il palato. Un luogo da visitare, sicuramente. E da amare poi.

Pizzicata, il primo film sul rito della taranta.

Dopo aver girato una serie di cortometraggi e di documentari sulla cultura salentina, Edoardo Wespeare gira questa pellicola autofinanziandosi per parlare di questa fetta di cultura sconosciuta ai più, specialmente al pubblico straniero. Fino all’arrivo di questo film, l’estero conosceva molto di queste danze e della storia che esse danzavano.

Il pubblico d’oltralpe apprezzerà molto questo racconto perdonando alcune incongruenze nelle sceneggiatura totalmente sovrastate da un gruppo di attori non professionisti ma di una bravura eccezionale che si muovono davanti a luoghi e paesaggi poco utilizzati nel cinema italiano ed internazionale.
Pizzicata è il primo e vero film che narra di questo complesso fenomeno socio-culturale che appartiene alla terra del Salento: la pizzica. Edoardo Winspeare ne parla con cognizione di causa, a discapito di un cognome che lo fa apparire anni luce lontano dalla terra degli ulivi e delle uve. Parla del fenomeno del tarantismo, manifestazione di una realtà popolare che ha attirato l’attenzione di studiosi e etnologi. Questa è la prima volta che si cerca di raccontarlo con le immagini, di portarlo sul grande schermo. “Il tarantismo è molto, molto complesso ed è difficile da sintetizzare – racconta Winspeare quello che posso dire per quello che riguarda la mia esperienza, il tarantismo come sofferenza è morto: non c’è più S. Paolo, però la taranta vive… la taranta vive come urlo di gioia, come grido anarchico di libertà, come festa, come comunione, come sballo, trance naturale, senza bisogno di pastiglie e droghe varie, e questo è tutto positivo. Da noi ha rappresentato anche una riappropriazione dell’identità, della propria coscienza in maniera per niente nazionalista”.
Se oggi la cultura salentina ha attirato l’attenzione di giovani italiani e stranieri, è anche grazie a queste iniziative, al coraggio di alcuni artisti che hanno avuto l’audacia dell’andare contro corrente investendo soldi, energie e creatività su un film che narra di storie vere ma che, forse, non riempiranno mai il botteghino ma che arrivano diritte alla gente e fanno esplodere la passione. Di pizzica se ne parla dappertutto: nei mercati, nei bar, dal calzolaio e con il vicino di casa. Adesso anche su internet, nuovo e impensabile mezzo per tramandare la cultura di un tempo portando in auge una terra, quella del Salento, spesso dimenticata nella solitudine del suo tacco.

Siamo verso la fine della seconda Guerra Mondiale e Tony Morciano, un giovane pilota americano, sta pilotando un aereo da ricognizione in volo nel cielo salentino. “Ho deciso di ambientare Pizzicata nel ’43 perché a mio avviso – confessa Winspeare – quell’anno era l’inizio della fine di una cultura, quella contadina non ancora contaminata, o meglio: era stata nei secoli contaminata dai Greci, dai Turchi, dagli Spagnoli, ma era un altro tipo di contaminazione. Fino agli anni ’40 era tutto più chiaro, anche negli aspetti negativi: la condizione della donna era più difficile, c’erano i poveri, i ricchi, il podestà, quindi volevo anche caratterizzare i personaggi in maniera netta.”

Abbattuto da una contraerea tedesca, Tony si lancia con il paracadute rimanendo impigliato tra i rami di un albero. Fortuna vuole che un agricoltore del luogo, al lavoro nei campi, lo vede e corre ad aiutarlo, aiutato dalle figlie l’uomo fa di tutto per aiutarlo di nascosto. Una delle figlie, già promessa sposa ad un altro, si innamora dell’aviatore americano ma non può averlo. Questa verrà morsa misteriosamente da una tarantola che le permetterà di sfuggire alla sua triste realtà per almeno qualche giorno, esattamente come avevano fatto le sue ave e le donne che erano venute prima di lei. Donne sottomesse alla legge patriarcale e ancora non padrone della propria vita e dei propri sentimenti.

La nuova Taranta tra tradizione e innovazione

Nelle piazze e nelle strade del Salento, specialmente nel periodo estivo, è facile trovare piccole orchestrine nelle piazze dei paesi che riempiono l’afa delle notti salentine con le note della pizzica.

Ricordo di un’epoca, in realtà, non ancora conclusa, lo scorrere del tempo ha avuto un’influenza determinante su questa musica che ha subito delle ovvie trasformazioni. È cambiata la gente, è cambiata la cultura, sono diversi gli strumenti musicali. Alcuni sono rimasti come una volta, altri sono stati integrati in una tradizione che si rinnova ad ogni epoca lasciandosi contaminare dalle nuove musicalità.

L’innovazione e la rinascita diventano quindi elementi fondamentali per far rimanere in vita una cultura che, come tutte le culture, deve adattarsi alla sua realtà contemporanea se non vuole diventare storia. Eugenio Bennato, con il suo Taranta Power, ha ben dimostrato come la cultura, sebbene antica, può essere esportata e come questa non può essere immune alle contaminazioni, sangue vitale di ogni cultura.

Qualcuno preferisce rimanere più legato alla tradizione evitando ogni forma di contagio, offrendo una pizzica il più possibile uguale a quella storica. Ovviamente il risultato non sarà mai puro e la sua attualizzazione alquanto difficile. La contaminazione diventa una regola della natura alla quale è difficile sottrarsi, anche perché siamo figli di questo mondo, di questa cultura e della musica del nostro tempo.

A questi concerti in piazza partecipa un pubblico incredibilmente eterogeneo che raccoglie giovanissimi e anziani, riunendo in un solo coro che racchiude tutte le generazioni. Ballano i bambini e ballano i nonni, simbolo emblematico di una storia che non si chiude e di emozioni che si tramandando e resistono anche in un’era tecnologica e informatica come la nostra.

Basta recarsi nel Salento a Giugno o durante il periodo estivo per entrare nel ritmo dei tamburelli, dei flauti e degli antichi strumenti che riportano in vita, insieme a salti e danze, i ricordi di una vita rurale che non è stata ancora, fortunatamente, cancellata dall’era di internet.

Il tamburello leccese, simbolo tradizionale della Pizzica

Il ritmo sincopato di questa musica terapeutica viene eseguito con lo strumento principe del ritmo: il tamburello. Quello della pizzica è un tamburello particolare, costituito da un cerchio di legno sul quale è stata fissata una membrana tesa. Sul cerchio di legno, poi, sono presenti delle fessure nelle quali sono stati inseriti dei piccoli piatti metallici che, ad ogni colpo dato con il palmo della mano sul bordo del tamburello, tintinnano producendo un suono particolare, tipico del ritmo di questa terra.

Esemplare omnio della della cultura mediterranea, il tamburello viene ancestralmente scelto anche per il suo simbolismo incoscio. Il cerchio è la figura geometrica perfetta e rappresenta la ciclicità perenne della vita. In esso non è possibile distinguere un inizio o una fine. Tutto si sussegue e tutto è co-presente, in ogni momento, senza sosta alcuna. Non vi è distinzione o di divisione, dove tutto rientra in una omogeneità divina, se non primordiale. Il movimento circolare della sua forma è simbolo universale e perfetto, dove tutti i punti sono equidistanti dal centro, ha nei millenni rappresentato l’interminabile e il divino, sia in campo animistico che religioso.

Ed è in questo simbolo di perfezione e di concentramento di grandi forze naturali, così come lo considerano i testi indiani Veda, che il tamburello segna con il suo ritmo incalzante il susseguirsi delle stagioni e della vita, dei cicli agricoli e vitali che ritornano ogni anno, senza sosta e senza placarsi, vestendosi di trascendente e di spirituale.

Il tamburello, dalla forma circolare, appartiene alla tradizione più antica e la sua nascita è nascosta nelle radici del tempo. Uno dei primi strumenti musicali creati dall’uomo, dava il ritmo e creava la musica delle danze sacre, portava alla trascendenza, spesso a stati di trance. Il suo suono univa il mondo trascendentale e il mondo umano, unendo terra e cielo. In questo cerchio di perfezione, dove le diversità vengono annullate, la femmina pizzicata riusciva a ritrovare la sua dimensione e scavalcava ogni ostacolo alla sua uguaglianza sociale. Al ritmo della musica del tamburello, non era più un essere inferiore, ma riacquistava la sua dignità e il suo anelato valore sociale.

Elementi pagani nel tarantismo

Fenomeno socio-culturale tipico del territorio salentino, affonda le proprie radici nel lontano passato. Alcune testimonianze fanno risalire le prime manifestazioni al Medioevo ma sembra che in realtà faccia parte di un’antica credenza popolare del mondo rurale, presente anche nella cultura greca e latina.

Legato ad un antico rituale pagano, si è poi integrato con elementi cristiani. Durante tutto il periodo della cristianizzazione e l’eliminazione (laddove possibile) di ogni influenza pagana nel mondo contadino, la Chiesa ha cercato di inglobare rituali e credenze pagane sostituendole con quelle cristiane.

Il ragno (ed assieme ad esso il serpente) fa parte di una cultura matriarcale, rappresentante il simbolo sessuale. Il serpente, come elemento del male, verrà subito integrato nella cultura cristiana come personificazione stessa del male; è uno dei tanti travestimenti del principe delle tenebre: Satana. Questi, dopo essere stato cacciato dal paradiso terrestre per aver osato opporsi a Dio, torna per tentare Eva e portarla sulla strada della disobbedienza, dimostrando il suo poter e la sua forza sugli uomini. La figura del serpente come simbolo fallico rimarrà anche negli annali della psicanalisi, simbolo inconscio di voluttà e desideri proibiti.

Il ragno sarà invece legato alla cultura popolare, simbolo della terra madre che riaffiora, che tesse la rete della vita. Il Cristianesimo non riuscirà a soffocare questo ricordo di una società matriarcale in cui il femminino non è stato ancora soppresso dal potere maschile. Nel rituale del tarantismo, il ragno pizzicherà di preferenza le donne, espressione di una realtà femminina che non è stata del tutto cancellata dal dominio patriarcale.

In questo rito il ragno pizzica la donna da sotto le vesti mentre lei, nei campi, raccoglie le spighe di grano. Questo morso lascerà nel sangue della donna un veleno pericoloso chela porterà in una fase di alterazione psichica, in una forma di trance, che indurrà nella pizzicata atteggiamenti e comportamenti non coscienti. Il muoversi spasmodico degli arti, la disinibizione assoluta provocata dal veleno della tarantola, fungono da giustificazione per comportamenti provocatori e sessuali, senza che lei possa esserne causa consapevole. È, dunque, la rivalsa del femminino che si riappropria della propria sessualità e dei propri istinti annullando ogni forma di condizionamento sociale e culturale, svincolando la sessualità della donna e rendendola libera. La Chiesa permetterà questo rituale facendo in modo che la sua fine (la liberazione della ragazza dalla possessione demoniaca) avvenga per mano di Santa Madre Chiesa attraverso al figura di San Paolo, elemento cristiano che annullerà il potere pagano del ragno. La Santità Cristiana ottiene,così, rivalsa sul mito pagano.

Il tarantismo è ancora vivo?

In Puglia tutti conoscono la pizzica e l’hanno vista ballare almeno una volta. Ogni anno, a Melpignano e nelle terre circostanti, vengono organizzati Festival e manifestazioni per ricordare e commemorare i tempi delle pizzicate e “La notte della Taranta” è una di quelle manifestazioni che hanno fatto il giro del mondo.

Oggi assistiamo ad una disgregazione del fenomeno delle tarantate. Se nel passato, a giugno, le donne a frotte si recavano a Galatina, presso la cappella di San Paolo, per essere esorcizzate dal veleno del ragno, oggi queste donne sono davvero poche. Arrivano di nascosto in auto, generalmente accompagnate dai parenti più stretti, e subiscono il rituale in un luogo chiuso agli occhi dei curiosi.

Non è possibile entrare all’interno ed assistere al rito: la privacy viene difesa rigidamente. Se una volta i riti duravano giorni, oggi durano pochi minuti e le pizzicate escono veloci dalla chiesetta per ritornare quasi vergognose a casa, di corsa. Alcune delle pizzicate, se possono, cercando di risolvere la questione a casa propria, cercando di nascondersi agli occhi della gente.

Oggi non è più un fenomeno di massa e non si svolge con le modalità di una volta. La distanza storica fra l’epoca d’oro delle tarantate e l’oggi è ormai ampia. E si vede. Perché è successo? Perché sono cambiate le condizioni storiche e sociali e la situazione del Sud, e della donna nel Sud, è cambiata profondamente. Non che certe credenze si siano affievolite, ma la condizione della donna è cambiata. Non è più necessario farsi pizzicare dal ragno. Le donne stanno conquistando il loro spazio da sole e hanno altri modi per occupare il loro spazio nel mondo.

Ma le tarantate ci sono ancora e ci resteranno, anche se a volte solo nei balli, a memoria di un mondo, in fondo, non così lontano.

Endorcismo ed Esorcismo: il fenomeno delle tarantate

La tradizione vuole che le ragazze, una volta pizzicate dalla tarantola, presentino dei segni premonitori del malessere provocato dal veleno del ragno. Sulla potenza di questo veleno si sono interrogati medici ed etologi ma sino ad oggi non è stato individuato alcun ragno, presente in Puglia, in grado di provocare tali mutazioni neurovegetative e psichiche.

È facile immaginare che il ragno era uno stratagemma ideato per fuggire da una realtà di stenti e di difficoltà, sia a livello economico che sociale, problemi che si riversavano pesanti sulle spalle delle donne meridionali (in questo caso salentine). In giugno, quando le donne andavano a raccogliere le spighe di grano, venivano pizzicate dal ragno e si dava dunque inizio alla “danza”.

La prima cosa da fare era individuare che tipo di tarantola avesse pizzicato la donna. Nella stanza della donna pizzicata veniva suonata una musica con i tamburelli e con altri strumenti che avrebbe fatto muovere la donna secondo dei movimenti rivelatori della la razza dell’aracnide: taranta libertina, taranta muta, taranta tempestosa, etc. Inoltre venivano sottoposte ad una “esplorazione cromatica”: davanti a loro vi erano dei nastri sgargianti di vari colori, le zacareddre.

La loro reazione di fronte ai colori dei nastri sarebbe stato una ulteriore del tipo di tarantola coinvolta. Molte volte la loro reazione poteva raggiungere alti gradi di aggressività nei confronti di coloro che indossassero il colore della tarantola.

Prima ancora dell’esorcismo vero e proprio (la soppressione del ragno tramite la danza terapeutica della pizzica) vi era la fase dell’endorcismo: la pizzicata si identificava con il ragno e assumeva atteggiamenti e movimenti aracnoidi: si stendeva sul suolo, strisciava, mimava l’andatura del ragno, roteava il capo, cercava di arrampicarsi sulle pareti. Questa fase poteva durare anche alcuni giorni. La sera, esauste, crollavano a terra nei loro camicioni bianchi per riprendere la danza il mattino dopo. Solo la danza ritmica e frenetica della pizzica avrebbe potuto “far scoppiare” il ragno che l’aveva pizzicata. La fine del rituale avviene con il vero e proprio esorcismo: la danza frenetica che scaccia il male e le donne che calpestano i piedi per terra per schiacciare idealmente il ragno fino ad giungere a completa guarigione. Una volta guarite ritornavano alla loro vita di sempre in attesa dell’anno successivo, quando molte di loro venivano pizzicate nuovamente.

Salento: terra di ri-morsi

È difficile collocare cronologicamente l’inizio dei mortali morsi della tarantola nel Salento. Nella cultura popolare questo pericoloso aracnide popolava prevalentemente i campi di grano (spesso anche quelli di tabacco). Giunto il periodo della mietitura le donne, armate di falce, tagliavano i grandi fasci di grano creando disturo alla vita tranquilla del ragno.

Questi, allora, per vendicarsi, pizzicava da sotto le gonne le donne iniettando un potente veleno in grado di provocare alterazioni fisiologiche e psichiche. La zona del morso si scuriva, apparendo come un livido scuro, segno della diffusione del veleno sotto la pelle. Il veleno, diffondendosi nel corpo della giovane, giungeva subito al cuore creando una profonda angoscia e difficoltà di respirazione. La ragazza, ora in una stato di alterazione psico-fisica, avverte dolori diffusi, in particolare dolore alle ossa, inappetenza e senso di nausea. Nello stadio inoltrato è preda di vere e proprie convulsioni e il suo stato psico-fisico viene aggravato se, intorno a lei, vi sono persone vestite di rosso, verde o azzurro.

Il pizzicato (o tarantato) nel Salento subisce una trasformazione. Le giovani vergini e le donne, dopo il morso, perdono ogni freno inibitorio e iniziano a scuotersi in maniera provocante, spesso impudica. Senza più alcuna vergogna nel mostrare le parti intime, si muovono provocanti alzando la gonna e lasciando vedere le parti intime. La leggenda vuole che molte di queste siano state pizzicate in mezzo alle gambe, da cui la perdita di ogni inibizione sessuale.

Le persone possedute non erano più in grado di controllare voleri e poteri, quasi fossero indemoniate. L’adorcismo (l’identificazione con la tarantola e il suo potere malefico) viene poi seguita da un rito, la musica ritmica e convulsa che fa contorcere la donna in terra, all’esorcismo, all’allontanamento dello spirito malefico da cui sono possedute: la tarantola. Sarà proprio questa danza timica e convulsa che , protratta per giorni e giorni, porterà alla liberazione dal male e al ritorno alla vita normale, quella di tutti i giorni. Una vita fatta di sofferenze, di lavoro e privazioni. In attesa di essere ri-morsi l’anno successivo.