Origini della danza delle tarantolate

Alle origini della pizzica, e delle altre analoghe danze diffuse in tutto il meridione d’Italia molti studiosi pongono il retaggio culturale di antiche danze provenienti dalla Grecia.

Ciò è verosimile se si pensa che molte delle regioni in cui sono diffusi tali balli popolari nell’antichità erano state fortemente influenzati dalle popolazioni greche che dominavano porzioni in alcuni casi assai vaste di territorio oppure si erano insediate in operose e prospere colonie lungo le coste.

Testimonianze della presenza così viva dell’antica cultura greca sono evidenti non solo nei tanti reperti archeologici presenti sul territorio, ma anche nella presenza di minoranze linguistiche che ancora oggi parlano il greco, come il dialetto presente in una ventina di comuni della regione salentina ancora oggi utilizzato da circa 30 mila persone, il grecanico.

La danza nel periodo ellenico era essenzialmente di due tipi, e secondo la divisione operata dal filosofo tedesco Nietzsche, si divideva in apollinea e dionisiaca. Le danze del primo gruppo sembrano avere provenienza cretese e dorica, erano eseguite durante le tragedie e rappresentavano l’espressione di quello che era l’ideale greco della bellezza del corpo e dell’armonia dei gesti e dell’espressione corporea.

Le danze dionisiache invece erano l’espressione di una visione del mondo e del corpo più irrazionale, mistica e selvaggia, ed erano prevalentemente legate ai culti dionisiaci ed alle feste in suo onore, i baccanali, caratterizzati in genere dalla sfrenatezza dei comportamenti, dalla liberazione dalle regole morali, e dalla prevalenza dello sberleffo, dell’oscenità e dell’irriverenza.

Molte testimonianze affermano poi che anche presso i greci erano praticate forme di danza con funzione terapeutica ed esorcizzante, come avviene in Salento nel caso del ballo delle tarantolate.

I tarantolati nei documenti medici e scientifici

Il rituale del tarantismo è antico quanto la presenza delle prime comunità umane nel bacino del mediterraneo, e la prova di ciò è nella stessa modalità in cui esso si esprime, in cui si possono agevolmente rinvenire tratti tipici di analoghe manifestazioni di carattere spirituale e magico, che ancora oggi fanno parte del patrimonio dell’umanità in tutte le latitudini.

Un profondo legame con gli aspetti oscuri e magici del rapporto dell’uomo con l’ambiente circostante, dove magia e simbolizzazione di elementi naturali, in questo caso il piccolo ragno che si aggira nelle campagne, responsabile al massimo di una innocua puntura, servono per rappresentare antiche ed ancestrali paure dell’uomo, ed uno dei più antichi modi di esorcizzarle, attraverso la musica e la danza.

Per questa ragione già agli albori della scienza medica e della scrittura si hanno documenti che attestano della volontà dei letterati degli scienziati e degli intellettuali di descrivere un rito così antico, cercando di spiegarne le ragioni e le modalità in cui si esprimeva.

Nel 1362 tale Guglielmo Marra da Padova del 1362, racconta che una credenza popolare voleva che il ragno cantasse dopo aver punto la sua vittima e che questo fosse il motivo per cui proprio la musica servisse per alleviare le pene del tarantolato.

Nella metà del ‘400, Johannes Tinctoris, cita la questione dei tarantolati nel suo tentativo di dimostrare gli effetti terapeutici della musica, ed il famoso alchimista tedesco Cornelio Agrippa cita i tarantati pugliesi quando vuole dimostrare la forza ed il potere della musica sull’uomo.

Anche gli umanisti si occuperanno di descrivere il fenomeno dei tarantolati, come l’umanista Antonio De Ferrariis nel 1513.
Ed ancora più prossimo all’epoca dei lumi, un medico e scienziato, Giorgio Baglivi, scrive nel 1695 un intero trattato sul tema: “De Tarantula”.