Wall Street Journal, la pizzica è come il blues

Il 13 agosto scorso sul Wall Street Journal compare un interessante articolo dedicato alla pizzica, il tipico ballo salentino che negli ultimi anni ha conosciuto meritatamente una fama che ha valicato gli stretti confini del territorio in cui è nato e si è sviluppato.

La fama della pizzica dunque arriva fin nei corridoi di uno dei più importanti e quotati tra i giornali economici del mondo, che si dilunga in una lunghissima descrizione della nascita e delle tradizioni legate a questo ballo tradizionale.

Il giornale statunitense nel tentativo di illustrare ai suoi lettori la magia della pizzica fa un accostamento singolare e tutto sommato azzeccato con uno dei fenomeni culturali e musicali più importanti nella storia della nazione americana, il blues.

In comune, secondo l’autore dell’articolo, la pizzica ed il blues hanno molte cose. In particolare il fatto di essere espressione di una cultura popolare e tradizionale: attraverso le note melanconiche e dolenti del blues così come in quelle frenetiche ed indiavolate della pizzica la popolazione trovava una valvola di sfogo ad una vita fatta di duro lavoro, di fatiche immani e di rigide regole sociali.

Se il blues è nato insomma come espressione della triste condizione degli schiavi e dei lavoratori neri negli Stati Uniti, la pizzica ha avuto uno sviluppo analogo nell’essere la principale forma di sfogo soprattutto di quella parte della popolazione salentina, le donne, che più duramente vivevano, nell’antica cultura contadina, in uno stato di sottomissione e di chiusura.

Un altra componente che accomuna i due fenomeni culturali è la loro origine mitica e mitizzata. Se la nascita del blues viene fatta risalire ad un misterioso quanto mitico incontro con il diavolo di uno dei suoi maggior interpreti delle origini, Robert Johnson, la pizzica deve la sua origine ad una storia altrettanto mitica e misteriosa, quella del suo uso come esorcismo per curare le “tarantolate”, donne affette da una particolare forma di isteria e nevrosi che si credeva fosse procurata dal morso di un ragno comune nelle campagne salentine, la tarantola.

Così come per il blues, che ha saputo miscelare con eleganza ritmi e suoni provenienti dall’Africa, intrisi di una religiosità pagana ed animista, così anche la pizzica deriva ampiamente da antichi balli e musiche già presenti sul territorio salentino già in epoca pre-cristiana.

Mistero e magia, origini remote, ipnotismo della musica ed espressione di malinconia e di tristezza, di disperazione ma anche di vitalità il blues e la pizzica sono espressioni antiche, continua l’articolo, che sono state conservate e si sono tramandate per secoli come fenomeno culturale, prima di essere riscoperte, valorizzate e riadattate come elementi di svago, divertimento ed intrattenimento per il pubblico moderno.

E se il blues è stato assimilato dalla cultura nordamericana da almeno un secolo, diventando la base di molta della musica contemporanea oggi ascoltata sul pianeta, tocca oggi alla pizzica affrontare lo stesso cammino, attraverso le tante manifestazioni che ogni anno ad essa vengono dedicate, come la celebre “Notte della Taranta” un festival che si tiene ogni anno a Melpignano, ed attraverso il lavoro di tanti giovani artisti e musicisti che hanno avuto la capacità e la forza di riscoprire un tratto saliente dell’antica cultura locale per divulgarlo e farlo conoscere al mondo intero.

ecco il link dell’articolo completo  http://online.wsj.com/article/SB128164458248227281.html

La funzione del colore nella taranta

La funzione del colore nella pizzica è notevole. Una delle componenti del rituale indiavolato che si scatenava intorno alle tarantolate era infatti la presenza di diversi fazzoletti o stracci di stoffa variamente colorata che facevano parte della coreografia del ballo.

Ma i colori non avevano solo una funzione estetica, ma erano uno degli strumenti principe del tentativo di esorcizzare il male dal corpo della vittima.

Una delle tradizioni popolari più conosciute riguardo alle tarantolate è il fatto che essere sembrano essere particolarmente sensibili ai colori, tanto da gettarsi addosso a coloro che avessero indossato un indumento o portassero una stoffa di un colore che poteva scatenare nella tarantolata una immediata reazione, in genere di carattere aggressivo.

E’ per questo motivo che anche nel momento del rituale intorno alla donna da esorcizzare si dispongano tutta una serie di nastri e stoffe colorate: vuole la tradizione infatti che qualora si riesca ad individuare il colore che fa agitare la malata si possa stracciare il pezzetto di stoffa corrispondente, contribuendo in questo modo ad alleviare il malessere o addirittura, in concomitanza con la musica a farlo sparire, almeno fino all’anno successivo, quando immancabilmente il male si ripresenterà.

E’ questo un altro dei motivi per cui gli studiosi della pizzica e del rito delle tarantolate sono così convinti che essa abbia origini ancestrali, perchè colori e musica sono stati da tempo immemore i fondamentali supporti di molta parte degli antichi riti pagani, e, psicologicamente, gli stimoli più intensi dei nostri sensi più importanti, la vista e l’udito.

Le tarantolate come fenomeno di riscatto sociale

Sarà solo agli albori degli anni ’60 che, dopo quasi 4 secoli di studi e di interesse più o meno approfondito, ci sarà una prima interpretazione corretta e verosimile di tutti i significati che portava con se il fenomeno delle tarantolate, ed il suo stretto connubio con la musica avente funzione esorcizzante, con il ballo.

Ed anche con la condizione psico patologica che sembrava inspiegabilmente colpire alcune donne nei territori dell’Italia Meridionale ed in Salento in particolare, dove la tradizione delle tarantolate aveva addirittura un momento culminante nel rito che si tiene ogni anno a Galatina, in provincia di Lecce, il 29 giugno.

Ernesto De Martino sarà l’antropologo che per primo infatti riuscirà, in un famoso libro uscito nel 1959, “La terra del Rimorso”, ad offrire un quadro generale esplicativo di tutte le componenti in gioco in questo antichissimo fenomeno culturale.

Secondo lo studioso, il morso della tarantola, ed il ballo esorcizzante che serviva ad arrestare l’influsso del veleno nel corpo poteva essere spiegato come una forma di risposta, giocata sul piano dell’irrazionale ad una condizione di profonda oppressione culturale e sociale.

Non a caso il ragno sembrava infatti colpire prevalentemente le donne, che subivano profondamente e doppiamente tale oppressione, perchè di una classe sociale subalterna, e perchè donne.

De Martino scopre attraverso interviste e ricerche, che molte donne colpite dalla tarantola avevano un percorso di vita segnato da profonde crisi personali, dall’impossibilità di seguire il proprio desiderio in amore, al fatto di essere relegate ad una condizione di inferiorità, e che forse la sublimazione nel rito magico ha permesso a molte di loro di evitare forme di malattia psichica e neurologica anche molto gravi.

Pizzica e rituali pagani in Salento

La pizzica, ed il fenomeno delle tarantolate sono uno degli aspetti che testimoniano la permanenza all’interno della cultura popolare delle popolazioni salentine di antichi rituali di origine pagana, che nonostante la forte presenza della cristianità, e la profonda devozione per i santi ed il culto cristiano, non sono stati scalfiti che in parte ed hanno saputo mantenere viva e vivace la loro permanenza, complice il fatto di essere legati a profonde tradizioni ed esigenze della cultura contadina.

Così non mancano in Salento i riti legati al culto del fuoco. Questi sono presenti in moltissime comunità locali, dalle famose focare di Novoli e di Martignano, nel rogo che accompagna l’esplosione del “u’ Pupu” che simboleggia il passato a Gallipoli, tradizione quella dei falò che in Salento sarà affiancata a quella dei fuochi d’artificio che ne costituiranno una variante ancora più pittoresca e vivace., nel corso dei seicento, grazie alla comparsa della polvere da sparo.

I riti pagani sono presenti in altri aspetti della tradizione culturale e religiosa salentina, per esempio nel rito della pietra forata di Calimera, nel quale i pellegrini devono passare attraverso un foro praticato in un monolite risalente al neolitico, in tal modo da rappresentare una sorta di passaggio obbligato verso un futuro di prosperità.

Un altro esempio della persistenza dei riti pagani è l’usanza di adornare i menhir di rami d’ulivo, nel periodo pasquale, evidentemente una tradizione riferita al cristianesimo, ma che si è sovrapposta agli antichi riti che si svolgevano intorno a queste misteriose pietre infisse nel terreno.

Melpignano, il paese della “Notte della Taranta”

Sebbene Melpignano debba gran parte della sua notorietà attuale al fatto di essere la località dove ogni ano si radunano i tanti appassionati della pizzica in uno dei più celebri eventi del Salento, “La Notte della Taranta”, non bisogna dimenticare che la piccola cittadina di poco più di 2000 abitanti possiede una serie di attrattive sia di carattere artistico che storico archeologico che ne fanno una delle località da visitare per chi si reca in Salento.

Un’occasione d’oro potrebbe essere quella di associare la partecipazione al grande evento musicale dedicato alla pizzica, con qualche giorno di soggiorno a Melpignano o nei paesi circostanti, Maglie, Castrignano de’ Greci, Cursi, Corigliano d’Otranto, Cutrofiano, per ammirare un territorio genuino e ricco di sorprese.

Da non mancare di ammirare il monumentale edificio della Chiesa ed ex Convento degli Agostiniani, esempio eccelso del barocco salentino, soprattutto per la mirabile facciata, in cui si riconosce la mano di uno dei più importanti architetti del seicento in Puglia, Giuseppe Zimbalo.

Da non perdere nemmeno la Chiesa di San Vincenzo, la più amata dalla popolazione locale, ed il cui intero è un fiorire di dipinti ed immagini di santi, ed il Palazzo Marchesale, che presenta all’interno della struttura seicentesca, un mirabile giardino.

Nei dintorni della cittadina sono visibili diversi esempi delle antiche e misteriose testimonianze dei culti pagani risalenti al neolitico, rappresentati dai menhir, le grandi pietre infisse nel terreno la cui funzione è ancora oggi al centro di vivaci interpretazioni.

La tarantola nel cinema

Tarantola, il bacio della Tarantola, la Tarantola dal ventre nero, solo per citare alcuni dei titoli che la dicono lunga su quello che è stato il rapporto del mondo del cinema con questo insetto tanto impressionante quanto in realtà innocuo per l’uomo.

Nei film, in genere ascrivibili all’horror di bassa categoria, ma con qualche incursione nella grande produzione, come “Aracnofobia” apparso sugli schermi cinematografici all’inizio degli anni ’90, il ragno è il protagonista indiscusso di episodi terribili in cui viene esaltata la pericolosità di questo, che si trasforma in un pericoloso assassino, per volontà propria, o di qualcuno che ne utilizza le doti di avvelenatore per perseguire oscuri progetti volti alla soppressione di rivali in amore o nemici assortiti, in un turbine di morti avvelenati misteriosamente che in generale termina con la distruzione del piccolo insetto.

Talvolta il ragno, come era in voga nei film horror statunitensi degli anni ’50 diventa gigante, a causa di qualche esperimento, chimico o radioattivo, e semina il terrore fino ad essere abbattuto a colpii di napalm e di artiglieria pesante.

Talvolta, come nei gialli all’italiana degli anni ’70, il ragno viene evocato in storie misteriose e torbide più che altro per la sua presunta crudeltà, al pare del suo simile, la “vedova nera”.

In molti casi i critici sono concordi che, in film del genere, il piccolo ragno, uno tra gli insetti più famosi nel mondo della cinematografia, svolge il suo ruolo di attore al pari o addirittura meglio dei suoi colleghi umani.

Canzoniere Grecanico Salentino

In molti casi la riscoperta della tradizione musicale e popolare della pizzica è stata una conseguenza dei lavori antropologici ed etnologici che dall’inizio degli anni ’60 hanno preso piede grazie all’intenso lavoro di ricerca portato avanti diversi studiosi per comprendere e far conoscere una tradizione culturale antichissima ancora oggi radicata nel territorio.

Prima della riscoperta da parte del grande pubblico attraverso festival ed eventi rinomati come “la Notte della Taranta” che si tiene a Melpignano, la pizzica ed il fenomeno della taranta è stata esplorata come espressione di una cultura popolare e contadina destinata alla scomparsa.

Nell’ambito della rinascita della pizzica non si deve dimenticare il grande lavoro compiuto da collettivi di artisti e di musicisti che non solo hanno voluto raccogliere ciò che restava di un patrimonio di repertori musicali di grande importanza sociale e culturale, ma anche riproporlo nella sua intrinseca bellezza e nelle sue potenzialità di essere, ancora oggi, vivo ed attuale, pur se discosto dalla matrice da cui era originato.

Il Canzoniere Grecanico Salentino è stato uno di questi gruppi. Nato nel 1975 ha al suo attivo non solo uno spettacolo che viene replicato da allora in tutti i festival e le rassegne dedicate alla musica popolare, ma anche una serie di importanti pubblicazioni il cui scopo è quello di raccogliere e preservare documenti della cultura contadina, che, di tradizione orale, rischierebbero di perdersi definitivamente.

Non solo, ma l’impegno del Canzoniere Grecanico Salentino è anche orientato a promuovere la conoscenza delle minoranze linguistiche presenti nella regione pugliese.

Il Carnevale in Salento

Il Salento è una terra che invita il visitatore ad immergersi in una realtà fatta di tradizioni millenarie e di genti che hanno percorso questo lembo di terra provenendo da diverse parti del bacino mediterraneo, eleggendo il molti casi questa terra come luogo di adozione.

I greci, I romani, le popolazioni balcaniche e persino i saraceni, chi approdava sulle coste salentine raramente se ne allontanava facilmente.

Anche la recente riscoperta turistica della regione è contrassegnata dalla stessa passione che animava le antiche migrazioni dei popoli, tanto che sono moltissimi i visitatori ed i turisti che una volta conosciuto il Salento ci tornano ogni anno, o addirittura decidono di stabilirsi qui.

Uno degli aspetti di questa attrazione è sicuramente rappresentato dalle tradizioni millenarie che animano il trascorrere dell’anno solare, e che si esprimono in magnifiche processioni, in feste popolari ancora incontaminate, in sagre ed eventi legati all’antica cultura contadina e pastorale di queste terre.

Da non dimenticare un momento molto intenso dell’espressione popolare salentina, il carnevale, che qui resta ancora quello che era nelle origini pagane, un momento dell’anno in cui i valori e la morale corrente vengono per un momento abbandonati per lasciare spazio alla festa, allo scherzo ed allo sberleffo dei potenti.

Caratteristica è, in molti paesi, la sfilata dei carri allegorici, a cui possono seguire il falò dei personaggi di cartapesta protagonisti della sfilata, ed al termine grandi feste nela piazza centrale del paese, accompagnate da musiche e balli.

Gallipoli, Nardò, Putignano, Andrano, Corsano, Aradeo, Casrano e Maglie, per citare solo alcuni dei paesi salentini dove ogni anno le celebrazioni del carnevale attirano non solo la popolazione locale e dei dintorni ma anche migliaia di persone provenienti da lontano e venute apposta per assaporare la bellezza e la genuinità della festa carnevalesca.

De Martino e “La terra del rimorso”

De Martino è stato uno dei più importanti antropologi italiani dell’epoca contemporanea, in particolare con la produzione letteraria che inizierà appena dopo il secondo conflitto mondiale con la pubblicazione, per la casa editrice Einaudi, del volume “Il mondo magico”.

Nel saggio si delineavano già alcuni tratti della sua concezione del mondo magico ed arcaico della cultura contadina come una risposta irrazionale e sublimata alla storia di oppressione sia materiale che morale che culturale cui le popolazioni contadine sono da sempre state assoggettate.
Nel 1959 decide, con un’equipe mista di studiosi, psicologi, etnologi ed antropologi, di dirigersi a Galatina, il paese salentino famoso perchè ogni anno, il 29 giugno, nella piccola chiesa di San Paolo, si svolgeva un raduno di moltissime donne “tarantolate”, ovvero morsicate, si presumeva, da un piccolo ragno molto comune nelle campagne pugliesi e dell’Italia Meridionale.

Tale rito aveva da molto tempo affascinato studiosi e scienziati, ma nessuno ancora aveva cercato di darne una spiegazione puntuale che riassumesse in se tutte le tante componenti che vi entravano in gioco, la malattia di per se, che scientificamente non poteva essere effettivamente provocata dalla puntura del ragno, l’esorcizzazione del male attraverso la musica, con le sue conseguenze sia culturali che scientifiche di ciò, ed ancora la partecipazione collettiva ad un rito che evidentemente affondava le sue origini in un culto anteriore ai culti cristiani, e che, nonostante la pressione della chiesa, sopravviveva orgogliosamente ad ogni tentativo di assimilazione.

La sua ricerca sarà una delle pietre miliari dell’interpretazione del fenomeno delle tarantolate in cui per la prima volta si poseranno le basi per la sua interpretazione antropologica ed etnografica.

Lycosa tarentula

Lycosa tarentula è il nome scientifico di un piccolo ragno, della famiglia degli aracnidi, la cui presenza nei territori mediterranei è conosciuta da millenni, sembra che gli antenati del ragno attuale fossero già presenti sul pianeta già 400 milioni di anni fa.

Il nome del ragno volgare è “Ragno Lupo”, ma nel Salento si è cominciato molto tempo fa a chiamarlo tarantola, e le origini di questa denominazione sono molto oscure, per qualcuno infatti tale appellativo deriva da Taranto, mentre per altri la provenienza è da attribuirsi al fiume Tara, un piccolo corso d’acqua che scorre poco distante da Taranto sgorgando, come comune a molti fiumi del territorio carsico, dopo un percorso sotterraneo tra profonde caverne.

Il morso di questo ragno è doloroso, come ben sanno i contadini che d’estate si apprestano a fare la raccolta del grano, ma non è assolutamente mortale, e, se si dovesse descriverlo, assomiglia a grandi linee alla puntura delle vespe o delle api.

Ciononostante al morso del ragno è stato associato il fenomeno del tarantismo, una sorta di disturbo di carattere neurologico e psichiatrico.

Il nome tarantola nel corso del tempo è stato associato ai ragni di grandi dimensioni che nel territorio europeo sono sconosciuti, e che invece abbondano negli altri continenti, dall’Asia all’Africa alle Americhe, le migali.

Anche se più impressionanti per le dimensioni, ad oggi non è stata ancora scoperta, neanche tra le specie più grandi, nessuna che si possa effettivamente considerare mortale per l’uomo.

Origini della danza delle tarantolate

Alle origini della pizzica, e delle altre analoghe danze diffuse in tutto il meridione d’Italia molti studiosi pongono il retaggio culturale di antiche danze provenienti dalla Grecia.

Ciò è verosimile se si pensa che molte delle regioni in cui sono diffusi tali balli popolari nell’antichità erano state fortemente influenzati dalle popolazioni greche che dominavano porzioni in alcuni casi assai vaste di territorio oppure si erano insediate in operose e prospere colonie lungo le coste.

Testimonianze della presenza così viva dell’antica cultura greca sono evidenti non solo nei tanti reperti archeologici presenti sul territorio, ma anche nella presenza di minoranze linguistiche che ancora oggi parlano il greco, come il dialetto presente in una ventina di comuni della regione salentina ancora oggi utilizzato da circa 30 mila persone, il grecanico.

La danza nel periodo ellenico era essenzialmente di due tipi, e secondo la divisione operata dal filosofo tedesco Nietzsche, si divideva in apollinea e dionisiaca. Le danze del primo gruppo sembrano avere provenienza cretese e dorica, erano eseguite durante le tragedie e rappresentavano l’espressione di quello che era l’ideale greco della bellezza del corpo e dell’armonia dei gesti e dell’espressione corporea.

Le danze dionisiache invece erano l’espressione di una visione del mondo e del corpo più irrazionale, mistica e selvaggia, ed erano prevalentemente legate ai culti dionisiaci ed alle feste in suo onore, i baccanali, caratterizzati in genere dalla sfrenatezza dei comportamenti, dalla liberazione dalle regole morali, e dalla prevalenza dello sberleffo, dell’oscenità e dell’irriverenza.

Molte testimonianze affermano poi che anche presso i greci erano praticate forme di danza con funzione terapeutica ed esorcizzante, come avviene in Salento nel caso del ballo delle tarantolate.

I tarantolati nei documenti medici e scientifici

Il rituale del tarantismo è antico quanto la presenza delle prime comunità umane nel bacino del mediterraneo, e la prova di ciò è nella stessa modalità in cui esso si esprime, in cui si possono agevolmente rinvenire tratti tipici di analoghe manifestazioni di carattere spirituale e magico, che ancora oggi fanno parte del patrimonio dell’umanità in tutte le latitudini.

Un profondo legame con gli aspetti oscuri e magici del rapporto dell’uomo con l’ambiente circostante, dove magia e simbolizzazione di elementi naturali, in questo caso il piccolo ragno che si aggira nelle campagne, responsabile al massimo di una innocua puntura, servono per rappresentare antiche ed ancestrali paure dell’uomo, ed uno dei più antichi modi di esorcizzarle, attraverso la musica e la danza.

Per questa ragione già agli albori della scienza medica e della scrittura si hanno documenti che attestano della volontà dei letterati degli scienziati e degli intellettuali di descrivere un rito così antico, cercando di spiegarne le ragioni e le modalità in cui si esprimeva.

Nel 1362 tale Guglielmo Marra da Padova del 1362, racconta che una credenza popolare voleva che il ragno cantasse dopo aver punto la sua vittima e che questo fosse il motivo per cui proprio la musica servisse per alleviare le pene del tarantolato.

Nella metà del ‘400, Johannes Tinctoris, cita la questione dei tarantolati nel suo tentativo di dimostrare gli effetti terapeutici della musica, ed il famoso alchimista tedesco Cornelio Agrippa cita i tarantati pugliesi quando vuole dimostrare la forza ed il potere della musica sull’uomo.

Anche gli umanisti si occuperanno di descrivere il fenomeno dei tarantolati, come l’umanista Antonio De Ferrariis nel 1513.
Ed ancora più prossimo all’epoca dei lumi, un medico e scienziato, Giorgio Baglivi, scrive nel 1695 un intero trattato sul tema: “De Tarantula”.